Collaborare per il futuro del turismo italiano: è davvero possibile?
Riusciranno gli albergatori italiani a collaborare per elaborare e attuare progetti comuni di ripresa post-pandemia?
Riusciranno ad innovare con avanzati servizi in comune da proporre successivamente all’attenzione di banche, finanziarie e eventualmente accedere al Recovery Plan?
Per rispondere a queste domande, proponiamo un’analisi introduttiva al concetto di marketing collaborativo turistico per come è stato effettivamente praticato dagli albergatori.
Il marketing collaborativo delle imprese alberghiere. Tendenze e prospettive
Innanzitutto, è opportuno ricordare il ruolo predominante dei piccoli e medi imprenditori. Si tratta di aziende con presenza di capitale, culturale e economico, centrato sulla famiglia. Per restare sul mercato con le proprie forze, gli albergatori hanno puntato essenzialmente sulle risorse familiari, sviluppando conoscenze e competenze in modo individuale.
L’alternanza tra competizione testa-a-testa e collaborazione inter-organizzativa non nasce spontanea ma è stata indotta e praticata da leader locali e dipende dal contesto comunitario. Perciò, il marketing collaborativo turistico non si è sviluppato in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.
I gruppi di acquisto
A tal fine, ricordiamo le prime ed elementari forme di azione collettiva sul libero mercato. Si pensi ai gruppi di acquisto di beni e servizi, che rinviano agli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, agli inizi del turismo di massa: per il turismo marino, si sono affermati lungo la costiera romagnola e poi adriatica; per il turismo montano, nelle Dolomiti orientali.
I gruppi di acquisto hanno abituato gli albergatori ad agire insieme per raggiungere un preciso obiettivo, quello di ridurre i costi nell’acquisto di beni alimentari o di televisori da mettere in ogni camera, rinnovando periodicamente l’offerta in base alle innovazioni tecnologiche.
Si deduce dall’esperienza dei gruppi d’acquisto che l’imprenditore alberghiero collabora quando verifica vantaggi. Quindi sviluppa una visione strategica più ampia, dà la sua attiva fiducia all’aggregazione tra imprese. Quanto più è soddisfatto dei risultati, tanto più incrementa il capitale sociale pro-business collettivo diffondendo la fiducia condivisa nell’innovazione.
I consorzi turistici
I consorzi turistici sono sorti per attuare programmi orientati alla gestione, allo sviluppo e alla riqualificazione del prodotto turistico. I più avanzati hanno cercato di connettere promozione della destinazione e attività di commercializzazione. Molti consorzi sono stati avviati in varie parti d’Italia con successo, soprattutto al nord Italia ma anche al sud (la Costiera Amalfitana, ad esempio).
Gli albergatori locali spesso hanno svolto un ruolo trainante ‘premendo’ per la loro realizzazione. Il riconoscimento del consorzio da parte della Regione è servito per ricevere finanziamenti, anche a fondo perduto, o per partecipare a progetti in comune con gli enti locali come la partecipazione alle fiere generaliste internazionali o a quelle specialistiche o di nicchia.
Promozione e commercializzazione
Il collegamento stretto, cioè funzionale, tra promozione e commercializzazione non è stato chiaro (e non lo è ancora oggi) ai decisori pubblici: tra spot pubblicitario e vendita occorre sempre un punto di contatto (il sito web) per trasformare il desiderio dei turisti in concreta prenotazione dei servizi.
Nonostante nel lontano 2001 siano stati istituiti i Sistemi turistici locali e poi i Distretti turistici, la promo-commercializzazione come attività integrata (e misurabile nel risultato economico) conta pochi casi di studio effettivamente apprezzabili. Le associazioni degli imprenditori turistici, aderenti a Confcommercio, Confesercenti e Confindustria non sono stati ascoltati dai governi per definire un modello replicabile in molteplici contesti, diffondendo le conoscenze per realizzare modelli vincenti.
Ad esempio, un metodo per saper leggere gli statuti: quelli con agenzia di viaggi interna al consorzio sono ben impostati, quelli senza agenzia sono destinati ad intercettare i soldi pubblici perché separavano promozione e commercializzazione.
Reti di imprese e filiere produttive
A partire dal 2010, l’attenzione si è spostata sulle ‘reti di imprese’ e sulle ‘filiere produttive’ con lo scopo di attrarre gradualmente un flusso turistico a ciclo continuo (destagionalizzazione) ed estendere ciò che si verificava nelle grandi città come Roma o Milano: gli alberghi sono aperti tutto l’anno e quindi possono progettare in modo stabile la loro azione commerciale, evitare il turn over forzato e consolidare le competenze dei dipendenti.
Gli Enti Bilaterali sono stati istituiti proprio per favorire nuove modalità di collaborazione ‘dentro’ l’albergo ma anche ‘tra’ l’albergo e gli altri attori dell’incoming per favorire scambi nel formare e gestire il personale.
Gli operatori dell’incoming, in particolare gli albergatori, riconoscono le ‘buone pratiche’ di collaborazione inter organizzativa se esse incrementano le prenotazioni dei servizi e i turisti spendono con soddisfazione i loro soldi nella destinazione, intensificando il passaparola positivo.
Tutto ciò che si allontana troppo da questo obiettivo diverge dal marketing collaborativo turistico, tende a diventare promozione senza commercializzazione.
Come facciamo a riconoscere il marketing collaborativo di successo?
Le ricerche sulle collaborazioni di successo dimostrano che un ruolo trainante è svolto dagli imprenditori turistici e alberghieri che sono nell’ospitalità da parecchi anni e che nei momenti difficili non hanno mai pensato di abbandonare l’arena competitiva. Esperienza e tenacia caratterizzano i leader collaborativi.
Si aggiunga che la leadership autorevole è caratterizzata da sensibilità per le interdipendenze tra i vari fattori dell’offerta e abilità nelle mediazioni tra i vari stakeholder nonché dal pensiero positivo nella possibilità di risolvere i problemi e cogliere le opportunità (il contrario del leader negativo, lamentoso e pessimista).
Connessione tra gli attori dell’ospitalità italiana
In particolare, la leadership genera collaborazione se dimostra con i fatti che gli attori dell’ospitalità sono connessi tra di loro e sanno definire un omogenea qualità dei servizi, cioè standard comuni alimentati dal mantenimento degli accordi o promesse.
Infatti, vi può essere un bravo direttore d’albergo, che sa gestire sia il revenue che la soddisfazione dei clienti, ma un fornitore, il taxista o la guida turistica, non è adeguato (o viceversa). Di conseguenza, si rompe la catena del valore e il turista attribuisce l’iniquità anche a chi si è comportato secondo gli standard concordati.
Con l’avvento della società dell’informazione, la nuova frontiera riguarda l’uso innovativo delle tecnologie della comunicazione senza lasciarsi sottomettere dalle retoriche dei big player. In particolare, occorre collaborare, negoziando con nuove competenze e in modo conflittuale, con i big player dei social media.
Infatti, dalle Ota a Airbnb, si sta affermando un progetto di integrazione verticale dell’offerta che penalizza gli albergatori e gli altri piccoli e medi imprenditori. Vi è una tendenza al gigantismo verticale che è l’esatto opposto allo sviluppo locale tipico di tutti i settori del made in Italy. I processi di dis-intermediazione hanno generato la re-intermediazione di giganti globali che distruggono tradizioni e modellano la testa degli operatori e dei turisti dall’alto.
Un gigantismo che risponde a logiche di mercato ma non accoglie le esigenze di albergatori e viaggiatori, che non segue i nuovi trend del mercato e non sviluppa nuova tecnologia. Un immobilismo, quello dei big player, volto a mantenere lo status quo che li vede dominare il mercato.
Rimettere al centro del viaggio le persone e le emozioni
Ma community di imprenditori e di viaggiatori iniziano a fare sentire la loro voce, con un malcontento già presente ma esploso durante il lockdown, tra cancellazioni e rimborsi che potevano essere gestiti in modo più trasparente e collaborativo.
Manca il racconto del territorio, tra enti locali spesso poco efficienti e OTA che però non hanno interesse a conoscere le destinazioni. Questo impatta negativamente sia sul viaggiatore che sul territorio e i suoi stakeholders, penalizzando l’esperienza della destinazione e la personalizzazione del viaggio, così ricercate dai turisti-millennials.
Si fa sempre più forte l’esigenza di rimettere al centro del viaggio le persone e le emozioni, per immaginare un mercato turistico più equo e libero.
Del resto, lo smart tourism è proprio questo: le decisioni di viaggio e di acquisto vengono prese all’interno dei social media e poi da queste si discende nella realtà fisica, modellandola in base al potere verticale.
I social media non sono semplici mezzi di comunicazione ma veri e proprie realtà in cui vince chi controlla la testa degli altri e ne indirizza le scelte in base ad algoritmi. Più che economia della condivisione, si stanno affermando nuove potenti gerarchie.
Il marketing collaborativo l’unica via
Oggi la collaborazione vira verso la regolazione, progettazione e gestione delle reti informative spostando il potere decisionale verso il ‘basso’, potenziando l’azione dei piccoli e medi imprenditori alberghieri.
Gli albergatori sono chiamati a collaborare tra di loro e poi con gli altri attori dell’incoming (agenzie, ristoratori, guide turistiche, bus operator ecc.) per realizzare una piattaforma di prenotazioni che valorizzi filiere e reti del made in Italy.
In tal modo, potranno reagire con successo alle gerarchie che penalizzano le piccole e medie imprese ed essere riconosciuti dei leader vincenti nelle prenotazioni online e più in generale nel web marketing collaborativo. E possono essere credibili con un servizio innovativo che merita di essere inserito dal Mibact nel Recovery Plan.
A tal fine vi è allo studio il progetto Pronto.travel che condivide una visione strategica sull’opportunità di realizzare un servizio avanzato che valorizzi la collaborazione degli albergatori e operatori turistici come atto della ripresa post Covid.
di Nicolò Costa, presidente Acom e Silvia Testa, vice-presidente Acom